Lettera aperta del CRIPAE - FIERI A VITA per il Nostro Contributo .

Lettera aperta del CRIPAE per Eutelia Nel dubbio VotateVi sempre!!! Partiamo dal problema sociale più sentito in questi giorni nostri. La crisi economica che deriva dalla crisi Finanziaria e di Capitali che si riversa poi sui numeri dell’occupazione. Ma qui in Eutelia la situazione è diversa Il Capitale c’è, è Italiano ed è stato messo soprattutto con i Risparmi dei Piccoli Azionisti per più di 2⁄3 ed è stato Patrimonializzato in Azienda Eutelia. Abbiamo letto su alcune relazioni che in questi anni abbiamo investito 600mln€. Lo abbiamo fatto con i nostri risparmi nulla a che vedere con finanza creativa, siamo un azionariato popolare italiano. La nostra iniziativa imprenditoriale e quindi il nostro Capitale rappresenta un baluardo per la tutela dei Vostri posti di lavoro il Nostro Comitato riunisce i Piccoli Azionisti che da sempre hanno creduto e sono fieri di aver investito per infrastrutturare il nostro paese nell Asset fondamentale per crescita e sviluppo: La banda larga, la Rete in fibra ottica di Eutelia. Fin dal primo momento abbiamo capito che la tutela del Vostro lavoro e quindi del Nostro Investimento passa attraverso lo sfruttamento dell'Asset strategico della Rete in fibra ottica di Eutelia. Insomma non abbiamo scoperto nulla, Chi ha studiato un pò di economia conosce bene quali siano i Fattori della Produzione: la TERRA , il LAVORO ed il CAPITALE nelle proporzioni di Vostro gradimento. Speriamo che con Terra crescano migliori frutti. Purtroppo questi ultimi anni abbiamo vissuto parecchie disavventure che hanno evidenziato tutte le possibili negatività di questa azienda ma un elemento sono convinto sia stato di esperienza positiva : la Formazione del Gruppo, quella professionale rimane indiscutibile. Solo chi lavora in evidente stato di difficoltà porta con se un'esperienza sicuramente pesante ma che deve essere un bagaglio di conoscenze da cui attingere per il futuro. Come un marinaio che va per mare, solo quando si trova nei momenti pericolosi capisce l’importanza di avere uno scafo robusto e quale sia il bene prezioso che si possa perdere, qui sicuramente tutti i componenti hanno percepito il valore dello stare insieme e di remare per la stessa via. Quindi sicuramente finora i fattori Capitale&Lavoro non sono mancati , oggi speriamo di imbarcarre con Noi Imprenditori già del settore che vogliano aiutarci a condurre insieme questa Nave Eutelia, Tutta insieme senza scialuppe di salvataggio privilegiate. Son convinto che sapranno farlo al meglio, utilizzando le risorse umane di Chi ha costruito Eutelia in questi anni, perchè parlano la stessa lingua ed hanno stessi valori culturali e umani, famiglia ed impresa. I primi ad investire su di Noi dobbiamo essere sempre Noi stessi, i veri protagonisti del Nostro futuro, non Ci si può tradire. Nel dubbio VotateVi!!! Auguriamo a tutti Noi un futuro sostenibile di sviluppo e crescita. Torneremo nelle posizioni che Eutelia merita. Grazie Il Cripae P.s. sono graditissimi i commenti e riflessioni questo spazio va inteso anche come un contributo per i dipendenti Eutelia di tutte le sedi affinche possano responsabilizzarsi in un momento particolare

mercoledì 14 settembre 2011

EUTELIA in SVENDITA? non ci è dato sapere quanto fu il peso dell'indebitamento in un panorama fatto di bassa capitalizzazione e PRESTITI BANCARI


Spa quotate, il cash flow resiste ma resta il nodo dell’indebitamento


ALESSANDRO PENATI


Quella scoppiata nel 2008, con il fallimento Lehman, è una crisi da eccesso di debiti: prima delle famiglie americane, poi delle banche, poi degli Stati sovrani. E le imprese? Come hanno reagito alla crisi? Quali gli effetti sulla loro struttura finanziaria, redditività e capacità di crescita? Sorprendentemente non se ne parla. Eppure, proprio dalle imprese dipende la capacità dell'economia di uscire dalle secche.
Per rispondere a questi quesiti, ho analizzato i bilanci di tutte le società italiane quotate, escluse le banche, le assicurazioni e le holding di partecipazione (meri contenitori di imprese), dal 2005 a oggi. La scelta delle società quotate è quasi obbligata: sono le uniche a comunicare i dati tempestivamente (circa la metà ha già reso noto la semestrale 2011), a redigere i bilanci in modo uniforme e trasparente (tutte usano i criteri contabili Ias dal 2005), e a dover compilare il rendiconto finanziario, documento fondamentale per capire la struttura finanziaria di un'azienda.
Il periodo include gli anni della ripresa e del boom di Borsa (20052007), il culmine della crisi (20082009), e l'attuale, debole ripresa (20102011). Il campione delle società analizzato dunque, varia nel tempo, a seconda della quotazione.
Prendendo l’insieme di tutte le società quotate l'effetto della crisi è stato violento: il fatturato si è contratto del 7% nel 2009, dopo quattro anni di crescita media superiore al 10%. Dopo un anno di stasi, nel primo semestre 2011 i ricavi sono tornati a crescere. Ma se anche non ci fosse rallentamento nella seconda parte dell’anno, a fine 2011 il fatturato non sarà ancora tornato ai livelli precrisi.
La reazione delle imprese alla caduta dei ricavi è stato rapido ed efficace. Il cash flow operativo, vale a dire il flusso di cassa netto generato dai ricavi meno i costi di gestione (escluso quelli figurativi), più la cassa generata dal credito dei fornitori (meno quello esteso ai clienti), è sceso da oltre il 23% del fatturato prima della crisi al 13% nel 2009, per riportarsi però già nel 2010 ai livelli precrisi (e aumentare ancora nella prima parte del 2011). Tagliando i costi alla stessa velocità della caduta dei ricavi, e modificando a proprio favore i rapporti di credito/debito con fornitori e clienti, le imprese hanno neutralizzato l'effetto della caduta del fatturato sulla loro capacità di generare cassa.
Ora, il problema è crescere. L'aggiustamento non è andato a scapito degli investimenti. Il cash flow assorbito dall'investimento (macchinari, impianti o partecipazioni), si è infatti mantenuto costante ai livelli del 2008, di poco inferiori al 7%.
La crisi ha ridotto la dimensione delle imprese, ma non la loro capacità di generare cash flow e investire. Che cosa hanno fatto della cassa generata? Nel complesso, nel periodo analizzato ne hanno distribuito il 20% come dividendi, trattenendo il resto. Questo ha permesso loro di superare crisi e ridimensionamento senza tagliare gli investimenti o aumentare l'indebitamento. Infatti, l'indebitamento netto complessivo a inizio di quest’anno era 1,4 volte il margine operativo (Ebitda): lo stesso livello dei precedenti cinque anni; e non tende a crescere nel 2011. Stessa conclusione se lo si valuta in rapporto al totale delle attività, costante in tutto il periodo a circa il 25%.
In rapporto alle sole attività tangibili, invece, l’indebitamento è arrivato al 70%, rimanendo sempre sopra il 65% nei cinque anni precedenti. Un percentuale elevatissima: il debito è a mala pena coperto dal capitale tangibile delle imprese, il cui attivo è costituito in gran parte dagli avviamenti delle partecipazioni, che rispecchia strutture societarie complesse e frammentate. Una caratteristica che accomuna grandi e piccoli, quotati e non. Si tratta di una costosa distorsione italiana, frutto dall'esigenza di delocalizzare più facilmente produzione e proprietà, al fine di ottenere una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e ridurre il carico fiscale; oltre che soddisfare l'indomita passione dei nostri imprenditori per la finanza.
La crisi ha però lasciato il segno sulla redditività, con gli utili scesi da oltre il 20% del patrimonio prima della crisi, a circa il 9%. Analizzando le componenti del rendimento sul capitale, il calo è dovuto sia a una compressione dell'utile netto su fatturato (dimezzatosi a circa 4,5%), sia una minore efficienza del capitale (il fatturato è sceso da circa 2,5 volte a meno di due volte il patrimonio). La redditività potrà essere recuperata solo con una crescita del fatturato che permetta di avvantaggiarsi delle economie di scala.
Il dato complessivo mescola giganti e nani, e può fornire un quadro distorto della realtà. Nelle tabelle qui in pagina riporto quindi i dati per la "società tipo" di grandi dimensioni (il dato mediano delle società nel primo quartile per capitalizzazione), che capitalizza mediamente 3 miliardi; e quella rappresentativa delle piccole (dato mediano dell'ultimo quartile), che in media capitalizza 60 milioni. Si noti che la tipica "piccola quotata" è anche rappresentativa dell'universo delle medie imprese non quotate, come si evince dal confronto coi dati dell'indagine Mediobanca sulle medie imprese, fino all’ultimo anno disponibile (2008).
Il quadro per grandi e piccole è simile ma con importanti differenze. L'effetto della crisi è stato più traumatico per le piccole (11% crollo del fatturato, contro 3%), che sono però riuscite ugualmente a reagire: la capacità di generare cash flow operativi e tagliare i costi è stata simile, come pure l'utilizzo della cassa generata internamente per evitare l'aumento dell'indebitamento o la riduzione degli investimenti.
La redditività del capitale di entrambe le categorie ha sofferto, pur avendo recuperato nella prima parte di quest'anno. L'enorme differenza sta nel livello assoluto della redditività: per le piccole è molto meno della metà che per le grandi, sia prima che dopo la crisi. La spiegazione: margini risicati, una minore efficienza del capitale (più capitale impiegato per unità di fatturato), e più alta pressione fiscale. Pur essendo state capaci di gestire la crisi senza indebolire la struttura finanziaria, le nostre "piccole quotate" dovrebbero ora cercare un aumento dimensionale e prodotti a margini più elevati, per assicurarsi efficienza e redditività necessarie per guardare con tranquillità al futuro.
Il costo del lavoro è l'ultima importante differenza. Per entrambe è in costante discesa rispetto al fatturato. Non è determinante per i risultati aziendali delle grandi (12,5% nel 2010, meno del cash flow operativo) ma lo è per le piccole: pur diminuito stabilmente dal 2005, rimane al 20% fatturato, e conta per il triplo del cash flow operativo.
In questa crisi del debito, le società italiane, complessivamente, non sono una fonte di rischio: avendola superata senza indebolire la loro struttura finanziaria e capacità di generare cash flow. Ma se vogliono preservare per il futuro questa solidità, tre sono gli imperativi: crescita dimensionale per guadagnare economie di scala; più innovazione di prodotto per aumentare i margini; e maggiore semplificazione dei gruppi societari.
(Ha collaborato Marco Botta)

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